Luca72 ha scritto: ↑domenica 12 febbraio 2023, 18:36
Qui inviti a nozze Adriano! Aspetta che si accorga di questa discussione!
La Jaguar è meravigliosa
Eh già, la mia prima Nikon (F photomic nera) con pentaprisma amovibile e vetrini di messa a fuoco intercambiabili, me la sono regalata per i miei 18 anni. All’epoca era lo stato dell’arte delle reflex professionali.
L’Hasselblad era un’altra faccenda, un’altra filosofia, un altro tipo di foto. Non era certo una macchina da reportage. Era più adatta alla moda e ad un uso in studio. Per quanto l’avevano pure spedita sulla luna. Probabilmente per il fatto che la grandezza (6x6) del fotogramma aiutava in una situazione unica. Che è l’unico aggettivo possibile, visto che dopo non si è più ripetuta.
Ultimamente sto sentendo parecchi che, colti da nostalgia, hanno rispolverato le vecchie macchine a pellicola. Che tutti abbiamo, non è che si possono buttare. Sono capolavori della meccanica che è sempre piacevole ogni tanto riprendere in mano.
Certo l’uso è diverso rispetto ai tempi d’origine, perché allora non c’era alternativa. Oggi è un metodo un po’ barocco di far foto e, come giustamente osserva il nostro amico, induce alla riflessione sullo scatto.
In realtà ai tempi le cose stavano diversamente perché per la foto in b/n si usava pellicola a metraggio e ognuno si confezionava i rullini da solo, riutilizzando caricatori usati che si aprivano e richiudevano facilmente.
Quindi le foto si facevano a mitraglia, poi si stampavano pagine di provìni a contatto, cioè mettendo le strisce di pellicola sviluppata su un foglio 18x24 pressandole con un vetro e poi dando luce. Poi con la lente si sceglievano le rare foto da stampare in grande formato.
Se ne stampava una su cento, che era già tanto. Perciò quella che oggi sembra una replica dei metodi di una volta, in realtà è diventata un’altra cosa ancora. Una specie di rituale per produrre rari e ponderati scatti.
A questo riguardo il grande formato è sicuramente più adatto a questa situazione del 24x36. Alla fine un uso del genere forse consiglierebbe addirittura l’utilizzo del banco ottico e della pellicola piana 9x12. Visto che vogliamo esagerare, torniamo al cavalletto. E a questo punto perché non sviluppare e stampare da soli? La cosa strana è che si diceva stampare una foto ma in realtà non c’era nulla che somigliasse ad un procedimento di stampa perché, una volta impressionata la carta, l’immagine si tirava fuori coi bagni chimici. Oggi si stampano davvero le immagini digitali con le stampanti.
All’epoca sviluppavamo e stampavamo tutti in casa, altrimenti i costi sarebbero stati proibitivi. Così c’era giusto il costo dei materiali: pellicole di varia sensibilità, carte di varie gradazioni (di solito materiale Ilford), qualche vaschetta, ingranditore, la smaltatrice per asciugare/lucidare (in alternativa si appiccicavano le foto bagnate ad uno specchio).
E poi via per strada, che ce n’era da fotografare, erano anni caldi di manifestazioni e tafferugli. Ma si faceva un po’ di tutto: macro, naturale, ritratto. Oltre a vari esperimenti di camera oscura, solarizzazione e altre cose che vedevamo sulle numerose riviste fotografiche che trangugiavamo avidamente per imparare.
Amiche e fidanzate, conoscenti e vicine di casa, tutte all’epoca ventenni, erano regolarmente arruolate, se appena guardabili, e remunerate con pacchi di ingrandimenti 30x40 sicuramente ancora oggi gelosamente conservati.
Le tre foto postate sono bellissime, molto dettagliate, sicuramente l’ottica utilizzata è di qualità (Hasselblad utilizzava Zeiss mi pare e gli obiettivi Nikkor erano superlativi) e forse la pellicola a bassa sensibilità ha aiutato a definire ancora di più. Ai tempi si usava appunto per le immagini di questo tipo e se non c’erano problemi di illuminazione del soggetto. La Jaguar è in pieno sole.